Che cosa è il Buddhismo 2

Che cosa è il Buddhismo – Seconda conferenza (30 Settembre 1951)

Domenica scorsa vi ho fatto un breve riassunto, anche fin troppo breve, della vita del nostro Maestro, il Buddha Gotama, fino al momento in cui egli raggiunse l’Illuminazione e divenne un Buddha. Oggi vi parlerò di quelli che sono i suoi Insegnamenti. Gli Insegnamenti del Buddhismo sono conservati in ciò che noi chiamiamo il Tipiîaka, che consiste dei Sutta (i Discorsi), il Vinaya (le regole di disciplina per i Saógha, ovvero le comunità sia di monaci che di monache) e l’Abhidhamma (gli Insegnamenti filosofici). Il Tipiîaka in Pª¡i consiste di numerosi volumi, la cui semplice lettura richiederebbe alcuni mesi anche per un competente studioso di Pª¡i. Oggi propongo quindi di limitarmi ad esporre gli elementi essenziali, vale a dire, le Verità fondamentali del Buddhismo.

Il Buddha, prima di decidere di assumersi il compito di diffondere il Dhamma (i suoi Insegnamenti ), rimase in meditazione silenziosa per un periodo continuo di 49 giorni, vale a dire, sette giorni ai piedi dell’albero del Bodhi, e sette giorni in ciascuno di sei luoghi vicini, a volte godendo della pace del supremo Nibbªna e altre volte approfondendo la sua analisi dei problemi più delicati dei Paramattha-Dhammª (le Realtà Ultime). Quando arrivò ad essere completamente padrone della legge di Paîîhªna (la Legge delle Relazioni), in cui sono anche spiegate l’infinito numero di relazioni tra i diversi momenti di pensiero, dal suo corpo cominciarono ad emanare brillanti raggi di sei colori, che infine andarono a formare un aureola di sei raggi colorati intorno alla sua testa. Egli passò questi sette periodi di sette giorni in meditazione senza alcun cibo, cosa che per tutti noi sarebbe completamente impossibile. è importante capire che durante tutto questo periodo (di 49 giorni) egli si mantenne su un piano mentale, distinto dal piano fisico in cui l’uomo normalmente si trova. Non è un nutrimento materiale che sostiene la materia sottile e il flusso vitale degli esseri che risiedono nei mondi di materia sottile dei Brahmª, ma il Pïti di Jhªna (l’estasi inerente ai livelli più alti di concentrazione) che è esso stesso un nutrimento. Questo fu anche il caso del Buddha, la cui esistenza durante quel lungo periodo era stata su un piano mentale e non materiale. I nostri esperimenti in questo campo di ricerca ci hanno fermamente convinto che, per un uomo di tale altissimo sviluppo mentale ed intellettuale quale era il Buddha, questo sia possibile. Fu all’alba del cinquantesimo giorno dalla sua Illuminazione che il Buddha emerse da questo prolungato periodo di meditazione. Non che fosse stanco o debole, ma poichè non si trovava più su un piano mentale, sentì bisogno di cibo. In quel periodo, due commercianti provenienti da un paese straniero stavano attraversando la foresta di Uruvelª, con un convoglio di carri carichi di mercanzie. Un Deva della foresta, che in una vita precedente era stato un loro parente, gli consigliò di approfittare dell’occasione di rendere omaggio al Buddha completamente Illuminato, che era appena emerso dalla sua meditazione. Come era stato loro suggerito, i due mercanti si recarono nel luogo dove il Buddha era seduto, illuminato dall’aureola di sei colori. Furono sopraffatti dall’emozione e si prostrarono in adorazione davanti al Buddha e successivamente offrirono dei dolci di riso e miele per il primo pasto del Buddha. Il Buddha li accettò come i suoi primi discepoli laici. Alla loro richesta di un segno o simbolo verso cui esprimere la loro devozione, il Buddha diede loro otto dei suoi capelli. Sarete sorpresi di sapere che questi due commercianti erano Tapassu e Bhallika da Ukkalª, che oggi è Rangoon, in Birmania, dove voi vi trovate adesso. E la famosa Shwedagon, che probabilmente tutti voi avete visitato, è la Pagoda dove vennero racchiusi come reliquie gli otto capelli del Buddha, sotto la direzione personale del regnante di Ukkalª, 2540 anni fa. La Pagoda è stata conservata e rinnovata fino ai nostri giorni da successivi re Buddhisti e da devoti cittadini. Per loro sfortuna, i due mercanti di Ukkalª, che ebbero l’onore di essere i primi discepoli laici del Buddha, erano discepoli solo per fede, senza un’esperienza pratica personale del Dhamma, che è il requisito necessario per la liberazione dalla sofferenza e dalla morte. La fede è senza dubbio un requisito preliminare, ma è la pratica degli Insegnamenti che realmente conta. Infatti il Buddha disse: Ognuno deve percorrere il Sentiero personalmente, i Buddha indicano solo la Via.

Gli Insegnamenti del Buddha

Il Buddhismo non è una religione secondo il significato di religione che dà il dizionario, poichè non è centrato su un dio, come è il caso in tutte le altre religioni. Per essere precisi, il Buddhismo è un sistema filosofico, coordinato con un codice morale, sia fisico che mentale. La meta visibile è la totale estinzione di sofferenza e morte.

Le Quattro Nobili Verità, esposte dal Buddha nel suo primo discorso, che è conosciuto come Dhamma-cakka-ppavattana Sutta (il Discorso che mette in moto la Ruota del Dhamma) formano la base su cui si fonda questo sistema filosofico. Infatti, le prime tre delle Quattro Nobili Verità espongono la filosofia del Buddha, mentre la quarta (il Nobile Ottuplice Sentiero, che è un codice morale e filosofico ) serve come mezzo per raggiungere la meta. Questo primo discorso fu pronunciato per i cinque asceti, guidati da Koô?añña, che in precedenza erano stati suoi compagni nella ricerca della Verità. Koô?añña fu il primo discepolo del Buddha a realizzare l’Insegnamento in pratica e a diventare un Arahat (un Santo che ha superato i limiti di tutti i condizionamenti).

Le Quattro Nobili verità sono :

(i) Dukkha Sacca La Verità della Sofferenza
(ii) Samudaya Sacca La Verità dell’Origine della Sofferenza
(iii) Nirodha Sacca La Verità dell’Estinzione della Sofferenza
(iv) Magga Sacca: La Verità del Sentiero che porta all’Estinzione

della Sofferenza Per arrivare ad una comprensione completa dei concetti fondamentali della filosofia del Buddha, viene evidenziata la necessità di comprendere a fondo la Verità della Sofferenza. Per chiarire questo punto, il Buddha affrontò il problema da due direzioni.

Per prima cosa, attraverso il ragionamento. Fece capire ai suoi discepoli che la vita è una lotta costante; la vita è sofferenza; la nascita è sofferenza; la vecchiaia è sofferenza; la malattia è sofferenza; la morte è sofferenza. L’influenza dei sensi è però così forte che l’uomo dimentica questo fatto molto facilmente, dimentica quanto sia alto il prezzo da pagare. Pensate per un momento a come è la vita nel periodo anteriore alla nascita; a come, dal momento in cui nasce, il neonato deve lottare per l’esistenza; che preparativi deve fare per affrontare la vita; come, una volta uomo, deve lottare fino al suo ultimo respiro. Potete immaginare chiaramente che cosa è la vita. La vita è veramente sofferenza. Più ci si attacca all’io, più grande è la sofferenza. In realtà, i dolori e le sofferenze che ogni uomo si trova ad affrontare vengono mascherati da momentanei piaceri dei sensi, che non sono altro che occasionali lampi di luce nel buio. Se non fosse per Moha (illusione), che lo tiene lontano dalla Verità, sicuramente l’uomo avrebbe trovato la via che porta all’emancipazione da questo ripetersi di vita, sofferenza e morte.

In secondo luogo, il Buddha spiegò ai suoi discepoli che il corpo umano è composto di kalªpa, unità subatomiche, che si disintegrano nel momento stesso in cui si formano. Ogni Kalªpa è una massa formata dai seguenti elementi naturali :

(i) Pathavï Solidità (letteralmente terra)
(ii) Åpo Coesione (lett. acqua )
(iii) Tejo Radiazione (lett. caldo e freddo)
(iv) Vªyo Movimento (lett. aria)
(v) Vaôôa Colore
(vi) Gandha Odore
(vii) Rasa Sapore
(viii) Ojª Essenza Nutritiva

I primi quattro vengono detti Mahª-Bhûta, vale a dire qualità materiali essenziali, le quali predominano in un Kalªpa. Le altre quattro sono solamente qualità supplementari che nascono e dipendono dai primi quattro elementi. Un Kalªpa è la più minuta particella del piano fisico. è solo quando questi otto elementi naturali (che hanno solo la caratteristica di comportamento) si uniscono, che si forma l’entità di un kalªpa. In altre parole, la coesistenza di questi otto elementi naturali di comportamento crea una massa che, in Buddhismo, viene detta un kalªpa. Questi kalªpa, secondo il Buddha, sono in uno stato di costante mutamento o flusso. Non sono altro che una corrente di energia, come la luce di una candela o di una lampadina. Il nostro corpo, non è un’entità solida, come ci appare, ma un continuo di materia coesistente con la forza vitale.

Per un normale osservatore, un pezzo di ferro è completamente immobile. Uno scienziato sa invece che esso è formato da elettroni e altre particelle, tutte in uno stato di costante mutamento o flusso. Se ciò è vero di un pezzo di ferro, cosa si può dire di un essere vivente, come ad esempio un essere umano? Il processo di mutamento all’interno del corpo umano deve essere per forza più intenso. L’uomo sente le vibrazioni di questo mutamento all’interno di se stesso? Lo scienziato, che sa che tutto è in uno stato di mutamento e flusso, sente mai che il suo corpo stesso non è altro che una costante vibrazione e un flusso di energia? Quali saranno gli effetti sull’atteggiamento mentale dell’uomo che, per introspezione personale, scopre che il suo corpo è semplicemente energia e vibrazione? Immaginate un uomo che per dissetarsi beve un bicchiere d’acqua dal pozzo del paese. Sicuramente, se i suoi occhi fossero dei microscopi, esiterebbe a bere quella stessa acqua, vedendo ingranditi i microbi presenti. Allo stesso modo, quando un uomo arriva a percepire il costante mutamento all’interno di se stesso (Anicca o Impermanenza), deve necessariamente arrivare alla comprensione, come sua conseguenza, della Verità della Sofferenza, come risultato della chiara e netta percezione della radiazione, vibrazione e attrito delle unità subatomiche interne. La vita infatti è sofferenza, sia all’interno che all’esterno, in apparenza e come realtà ultima.

Quando dico che la vita è sofferenza, come il Buddha insegnò, vi prego di non andarvene con l’idea che, se questo è il caso, la vita è orribile, che la vita non merita d’essere vissuta e che il concetto Buddhista di sofferenza non lascia spazio alla possibilità di una vita felice. Che cos’è la felicità? Nonostante tutto ciò che la scienza ha ottenuto in campo materiale, gli uomini sono felici? In certi momenti trovano dei piaceri sensuali ma, nel profondo del cuore, non sono felici, nè del passato, ne del presente, nè del futuro. E perchè? Perchè, nonostante abbia controllo sulla materia, l’uomo non ha ancora controllo sulla propria mente. Il piacere che deriva dai sensi non è niente in confronto all’estasi (Pïti) derivante dalla pace interiore della mente, che può essere ottenuta attraverso la pratica di meditazione Buddhista. I piaceri dei sensi sono preceduti e seguiti da difficoltà e dolori, come nel caso di un sempliciotto campagnolo che trova piacere grattando con cautela i pruriti del suo corpo, mentre Pïti non porta con sè questi problemi e dolori, nè prima nè dopo. Sarà difficile per voi, partendo da un punto di vista sensuale, valutare che cosa sia questo Pïti. Ma io so che voi ne potete beneficiare e arrivare a provarlo, così da poterne fare una valutazione comparata. Per cui non c’è fondamento per la supposizione che il Buddhismo insegna qualcosa che vi renderà miserabili con questo prospettivo incubo di sofferenza. Per favore credetemi quando vi dico che vi darà una possibilità di sfuggire alle normali circostanze della vita, come un fiore di loto in un lago d’acqua cristallina, immune dal calore che lo circonda.Vi darà quella Pace Interiore che vi convincerà che non state solamente superando i problemi della vita quotidiana, ma che, piano piano,state passando al di là dei limiti di vita, sofferenza e morte. Cos’è quindi l’Origine della Sofferenza? L’origine, il Buddha disse, è Taôhª, bramosia o desiderio. Una volta seminato, il seme del desiderio cresce e diventa bramosia, si moltiplica e diventa una sete insaziabile, sete di potere o di guadagno materiale. L’uomo in cui questo seme germina, diventa schiavo di questi desideri e automaticamente viene spinto a faticare, lavorando con il corpo e con la mente per tenersi al loro passo, fino a che arriva la fine. Il risultato finale per l’uomo deve essere sicuramente l’accumulo di forze mentali negative, generate dalle sue stesse azioni, fisiche, verbali e mentali che hanno come radice il desiderio (Lobha) e la rabbia (Dosa) insite in lui. Dal punto di vista filosofico, sono le energie mentali delle azioni (Saókhªra) che, nel corso del tempo, reagiscono su colui che le genera e che sono responsabili per questa corrente di mente e materia, l’origine della sofferenza dentro di lui.

Il Sentiero che porta all’Estinzione della Sofferenza. Qual’è quindi il Sentiero che conduce alla fine della Sofferenza? Il Sentiero non è altro che il Nobile Ottuplice Sentiero predicato dal Buddha nel suo primo sermone. Questo Sentiero Ottuplice è diviso in tre parti principali, vale a dire Sïla, Samªdhi e Paññª.

Sïla (I Precetti morali)
1. Retta Parola
2. Retta Azione
3. Retta Sussistenza

Samªdhi (Tranquillità della mente)
4. Retto Sforzo
5. Retta Attenzione
6. Retta Concentrazione

Paññª (Saggezza o Chiara visione)
7. Retto Pensiero
8. Retta Comprensione

A. Sïla. I tre aspetti caratteristici di Sïla sono:
1. Sammª-vªcª: Retta Parola
2. Sammª-kammanta: Retta Azione
3. Sammª-ªjiva: Retta Sussistenza

Per Retta Parola si intende: Parole che esprimono la verità, che sono benefiche, che non sono ingiuriose o maligne. Per Retta Azione si intende: I principi fondamentali della moralità che si oppongono alla distruzione della vita, al furto, all’impropria condotta sessuale e all’ubriachezza. Per Retta Sussistenza si intende: Un modo di vivere che non include quelle professioni che causano la sofferenza di altri esseri viventi, come ad esempio il commercio di schiavi, la produzione di armi e la compravendita di alcool e stupefacenti.

Questi precetti rappresentano a grandi linee il Codice Morale che il Buddha promulgò inizialmente nel suo primo sermone. Successivamente egli ampliò questa definizione e introdusse regole diverse per i monaci e per i discepoli laici. Non è necessario che vi esponga le regole prescritte ai monaci. Vi esporrò solamente quelli che sono i precetti, o codice morale, di un discepolo laico Buddhista. Essi sono detti Pañca Sïla, vale a dire i Cinque Precetti: (i) Paôªtipata: Astenersi dall’uccidere qualsiasi essere vivente. (La vita è la cosa più preziosa che un essere vivente possiede e con questo precetto la compassione del Buddha è estesa a tutti gli esseri viventi).

(ii) Adinn’ ªdªna: Astenersi dall’appropriarsi di ciò che non è dato. (Questo precetto serve a controllare impropri desideri di possesso).
(iii) Kªmesu-micchª-cara: Astenersi da un comportamento sessuale scorretto. (Il desiderio sessuale è latente nell’uomo ed è irresistibile per quasi tutti. Per questo motivo il Buddha proibì ogni attività sessuale illecita).
(iv) Musªvada: Astenersi dal mentire. Questo precetto viene incluso per essere fedeli a livello verbale al principio di Verità
(v) Surª-meraya: Astenersi da qualsiasi tipo di sostanza inebriante. L’inebriatezza causa all’uomo la perdita del controllo sulla propria mente e della capacità logica, che sono elementi essenziali per arrivare a comprendere la Verità.

I Cinque Precetti (Pañca Sïla) sono formulati con l’intenzione di controllare azioni e parole e per servire come fondamento per il Samªdhi (concentrazione della mente)

B. Samªdhi. Arriviamo ora a parlare dell’aspetto mentale del Buddhismo, che sono sicuro vi interesserà grandemente. In questo secondo gruppo del Nobile Ottuplice Sentiero sono contenuti:

1. Sammª-vªyªma: Retto Sforzo
2. Sammª-sati: Retta Attenzione
3. Sammª-samªdhi: Retta Concentrazione

Il Retto Sforzo è, naturalmente, un prerequisito della Retta Attenzione. Senza uno sforzo deciso di restringere il raggio dei pensieri della propria mente, che nel suo normale stato è sbilanciata e in costante movimento, l’uomo non può aspettarsi di raggiungere quel livello di attenzione della mente, che a sua volta porta, tramite la retta Concentrazione, ad uno stato di Focalizzazione su un solo punto e Tranquillità o Samªdhi. è a questo punto che la mente si libera dagli ostacoli, si tranquillizza e si purifica, illuminandosi dentro e fuori. La mente che ha raggiunto questo stato diventa luminosa e potente. Esternamente ciò è rappresentato da una luce, che è semplicemente un riflesso mentale, che varia di intensità, dalla luce di una stella a quella del sole. In parole semplici, questa luce, che è riflessa nell’occhio della mente in completa oscurità, è una manifestazione della purezza, tranquillità e serenità della mente stessa.

Questo concetto è presente anche nell’Induismo. Passare dalla luce al vuoto e ritornare alla luce è un’esperienza fondamentale per un brahmino. Nel Nuovo Testamento, Matteo parla di un corpo pieno di luce. Sappiamo di sacerdoti della Chiesa cattolica che meditano regolarmente per ottenere questa luce miracolosa. Anche il Corano dà molta importanza alla Manifestazione della Luce Divina.

Questo riflesso mentale di luce caratterizza la purezza mentale interiore, e questa purezza forma l’essenza della vita religiosa, indipendentemente dal fatto che uno sia Buddhista, Indù, Cristiano o Musulmano. Infatti, la purezza mentale è il massimo comun denominatore di tutte le religioni. L’amore, che è l’unico mezzo per l’unità dell’umanità, deve essere supremo, e ciò non può essere a meno che la mente non sia trascendentalmente pura. Una mente equilibrata è necessaria per bilanciare le menti squilibrate degli altri. Come un arciere raddrizza la sua freccia, così il saggio raddrizza la sua mente tremante e sbilanciata, che è difficile da controllare, ardua da trattenere.

Così disse il Buddha. L’esercizio mentale è tanto necessario quanto l’esercizio fisico. Che ragione c’è quindi per non esercitare la mente e renderla pura e forte così da ottenere la Pace Interiore dei Jhªna? Una volta che la Pace Interiore comincia a permeare la vostra mente, farete sicuramente dei grossi passi avanti verso la comprensione della Verità.

Le nostre esperienze ci assicurano che sotto la giusta guida, questa Pace Interiore e Purezza della Mente con luce possono essere raggiunte da tutti, independentemente dalla loro religione o credenza, a condizione che si abbia sincerità di intenti e si sia preparati a seguire completamente la guida durante il periodo di istruzione. Quando, con la continua pratica, si ottiene completa padronanza della propria mente, è possibile raggiungere gli stati di Jhªna (stati di assorbimento meditativo) e gradualmente sviluppare se stessi fino ad arrivare ad ottenere i Samªpatti, poteri paranormali come quelli esercitati da Kªladevala, l’eremita maestro del re Suddhodana. Queste pratiche, naturalmente, vanno sperimentate con una moralità assoluta e lontano da centri abitati, e sono alquanto pericolose per coloro che hanno ancora dentro di sè tracce di desiderio. Comunque, queste pratiche che danno poteri paranormali nel campo mondano, non erano incoraggiate dal Buddha, il cui unico obiettivo nello sviluppare il Samªdhi era quello di ottenere la purezza e potenza mentale essenziali per la comprensione della Verità. Nel Buddhismo abbiamo quaranta metodi di concentrazione, di cui il più importante è Ånªpªna, vale a dire la concentrazione sul respiro in entrata e uscita, il metodo seguito da tutti i Buddha.

C. Paññª. Affronterò ora l’aspetto filosofico del Buddhismo contenuto nella terza parte del Nobile Ottuplice Sentiero, Paññª, Saggezza o Chiara Visione.
I due aspetti caratteristici di Paññª sono:

1. Sammª-saókappa: Retto Pensiero (o Retta Contemplazione)
2. Sammª-diîîhi: Retta Comprensione

La Retta Comprensione della Verità è la meta e l’obiettivo del Buddhismo e il Retto Pensiero è lo studio analitico di mente e materia, all’interno e all’esterno, per arrivare a realizzare la Verità. Avete sentito i termini Nªma e Rûpa (mente e materia) tante volte. Vi devo un ulteriore spiegazione. Nªma (mente) è così chiamata a causa della sua tendenza a volgersi verso un oggetto dei sensi. Rûpa (materia) è così detta a causa della sua impermanenza, dovuta a continuo mutamento. I termini che più si avvicinano a Nªma e Rûpa sono quindi mente e materia. Dico che si avvicinano poichè il significato non è esattamente lo stesso. Nªma, a rigor di termini, è la parola che si applica ai seguenti:

(i) Coscienza (Viññªôa)
(ii) Sensazioni (Vedanª)
(iii) Percezione (Saññª)
(iv) Energie di volizione (Saókhªra) (ovvero energie mentali)

Questi, insieme a Rûpa nello stato materiale, formano ciò che noi chiamiamo i Pañca-kkhanda o Cinque Aggregati. è in questi cinque aggregati che il Buddha ha raggruppato tutti i fenomeni fisici e mentali di ogni tipo di esistenza, che in realtà è un continuo di mente e materia coesistenti, ma che all’uomo comune appare come la propria personalità o io.

In Sammª-saókappa (Retta Contemplazione) il discepolo, che a questo punto ha sviluppato la potente lente mentale del Samªdhi, concentra la sua attenzione su sè stesso e tramite la meditazione introspettiva compie uno studio analitico sulla natura, come prima cosa di Rûpa (la materia) e successivamente di Nªma (la mente e le caratteristiche mentali). Egli sente, a volte anche vede, i Kalªpa nel loro stato reale. Comincia a rendersi conto che sia Rûpa che Nªma sono in continuo mutamento, impermanenti ed effimeri. Con l’aumento del suo potere di concentrazione, la natura delle energie dentro di lui diventa gradualmente sempre più chiara.

Non riesce più a liberarsi dell’impressione che i Pañca-kkhanda, o Cinque Aggregati, soggetti alla legge di Causa ed Effetto, non sono che sofferenza. A questo punto è convinto che, in realtà, tutto è sofferenza, dentro e fuori (se stesso) e che l’Io in realtà non esiste. Desidera ardentemente raggiungere uno stato al di là della sofferenza. Alla fine, andando oltre i limiti della sofferenza, egli passa dallo stato mondano a quello sopramondano ed entra nella corrente di Sotªpanna, il primo dei quattro stadi degli Ariya (persone nobili). A quel punto egli si libera (i) dell’io, (ii) dei dubbi e (iii) dell’attaccamento a regole e riti. Il secondo stadio è quello di Sakadªgªmï (Uno che deve ritornare ancora una volta), al cui raggiungimento il desiderio sensuale e la malevolenza sono attenuati. Colui che raggiunge il terzo stadio di Anªgªmï (Uno che non deve più ritornare) cessa totalmente di avere qualsiasi tipo di passione o ira quando raggiunge. Lo stadio di Arahat è la meta finale. Ognuno degli Ariya può provare che cosa sia il Nibbªna, anche come uomo, ogni volta che decide di entrare nello stato di fruizione di Sotªpanna o degli altri stadi, che gli porta la Pace Interiore del Nibbªna.

Questa Pace Interiore, che è identificata con il Nibbªna, non ha paralleli poichè è uno stato sopramondano. In confronto a questo (stato), la Pace Interiore dei Jhªna, a cui ho fatto riferimento nella spiegazione sul Samªdhi, è insignificante, perchè, mentre la Pace Interiore del Nibbªna trasporta oltre i limiti dei trentuno piani di esistenza, la Pace Interiore dei Jhªna rimane ancora all’interno di questi piani, vale a dire nel mondo di materia sottile dei Brahmª.

Signore e signori, un’ultima parola. Ciò che ho detto copre solo alcuni degli aspetti fondamentali del Buddhismo. Considerato il tempo a mia disposizione, spero di aver fatto del mio meglio: Raggiungere uno stato di Purezza mentale con la luce di fronte a voi; Arrivare ad uno stato di Jhªna a volontà; Sperimentare da voi stessi la Pace Interiore del Nibbªna. Tutte queste esperienze sono alla vostra portata. Perchè allora non provare a raggiungere almeno le prime due, che sono compatibili con la vostra religione? Io sono disponibile per darvi qualsiasi aiuto di cui abbiate bisogno. Vorrei ancora una volta ringraziare tutti voi per il vostro paziente ascolto. La mia gratitudine va anche al clero della chiesa per aver gentilmente permesso questo incontro.

 

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