La pratica della meditazione buddista per i laici, nel mondo contemporaneo

di Eric Lerner

Qualche decennio fa uno studente di Mr.Coleman Eric Lerner scrisse il seguente articolo circa l’approccio di U Ba Khin all’insegnamento della meditazione ai laici.

Per tutti i secoli passati, gli insegnamenti del Buddismo Theravada furono sostanzialmente mantenuti e protetti nell’ambito della tradizione monastica. La rinunzia ad una esistenza nel mondo, a fronte di una vita all’interno di mura in un ambiente protetto o nella foresta, era il requisito per un “vero praticante”. Ai laici fu lasciata la responsabilità di osservare la legge morale, fare l’elemosina e partecipare ai riti religiosi in modo da guadagnarsi meriti per le vite future, dove avrebbero potuto effettivamente mettersi sulla formale via per la liberazione.

In realtà questa modalità, come gli stessi sutra rivelano, non era per niente vera quando il Buddha era vivo ed insegnava. Una grande quantità di laici ricevette gli insegnamenti ed anche li mise in pratica, ed i laici raggiunsero alti livelli di sviluppo spirituale.

Negli scorsi decenni, nei paesi di tradizione buddista Theravada, si è avuta – all’interno del Sangha monastico – una generale rinascita di interesse nella Meditazione della Visione Interiore (Meditazione Vipassana), e da ciò anche una divulgazione della pratica meditativa al di fuori delle mura dei monasteri.

Questo ha in un certo senso rivitalizzato l’intero modo di vedere la meditazione, rendendola in un qualche modo più pratica ma evidenziandone contemporaneamente due aspetti importanti: primo, come può una persona, cha non ha tutta la vita da dedicare al silenzio ed alla contemplazione, accostarsi alla meditazione? E secondo, che ruolo può giocare la pratica meditativa nella quotidiana vita nel mondo?

Questi problemi furono affrontati, in grande dettaglio e con una significativa capacità di innovazione, da uno dei più importanti maestri di meditazione della moderna Birmania: Thray Sithu U Ba Khin.

Era molto conosciuto – e positivamente – nel suo Paese come un importante funzionario statale: fu per molti anni il Ragioniere Generale dello Stato per l’Unione Birmana ed il Presidente di un certo numero di importanti commissioni governative. Ci fu un periodo nel quale era responsabile contemporaneamente di quattro importanti commissioni, aveva sei figli a cui badare e trovava il tempo per insegnare meditazione all’International Meditation Center a Rangoon, istituito sotto la sua guida nei primi anni ’50.

Le caratteristiche singolari dei suoi insegnamenti spirituali derivavano dalla sua posizione di maestro laico di meditazione in un Paese di Buddismo ortodosso. Per lui non era possibile insegnare ai monaci, e pertanto tutta la sua capacità di insegnamento fu indirizzata in modo speciale ai laici. Sviluppò un approccio alla meditazione Vipassana molto diretto e potente, che potesse essere attuato in un breve periodo di intensa pratica e poi continuato e mantenuto nella vita di ogni giorno.

Il suo metodo è stato fondamentale nella trasmissione del Dhamma nel mondo occidentale, perché durante i suoi 25 anni al Centro insegnò a decine di visitatori stranieri, i quali non avevano alcun bisogno di una conoscenza intrinseca del Buddismo per comprendere velocemente ed afferrare questa pratica meditativa. Dal tempo del decesso di U Ba Khin, nel 1971, molti dei suoi discepoli, da lui autorizzati all’insegnamento, hanno continuato la sua attività, sia in Birmania che all’estero.

Quale è il fine della Meditazione Vipassana?

Ed è in un qualche modo differente per la persona la cui vita è interamente dedicata al praticare la meditazione o per la persona che si guadagna da vivere e mantiene altre persone, vivendo nel mondo? In senso lato non c’è differenza.Il fine è la cessazione della sofferenza. L’esperienza della “Pace Nibbanica Dentro di Noi” – come U Ba Khin la definiva – è lo scopo della pratica meditativa.

Ma è anche la cessazione, momento per momento, della sofferenza: armonia tra gli esseri, cessazione delle tensioni interne, manifestazione della gentilezza amorevole, capacità di eseguire i nostri compiti quotidiani liberi dalla rabbia, avidità, ansietà. E’ un fine identico per il laico e per il monaco. Il modo di procedere, comunque, è diverso, almeno all’inizio.

U Ba Khin comprese che i suoi studenti, diversamente dai monaci, dovevano affrontare pesanti condizionamenti, in relazione alla quantità di tempo che potevano dedicare alla pratica meditativa.

Inoltre dovevano operare in un ambiente totalmente incontrollato e normalmente ostile ad un corretto comportamento morale ed a una buona concentrazione, requisiti per la visione interiore. Pertanto egli insegnò loro un metodo che poteva contrastare tali pressioni. In un breve periodo di dieci giorni, la maggior parte dei suoi studenti avrebbe potuto almeno avere una fugace esperienza della realtà interiore ed avrebbe potuto continuare ad espandere la propria consapevolezza, dopo aver lasciato il Centro, tramite due ore quotidiane di meditazione formale.

Questa tecnica possiede tre qualità specifiche. La prima è l’importanza data allo sviluppo di una sufficiente capacità di concentrazione su un punto preciso.

A questo riguardo U Ba Khin scrisse:

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Samadhi (concentrazione) è un modo di allenare la mente a diventare tranquilla, pura e forte e pertanto forma l’essenza della vita religiosa…E’ in realtà il maggiore comun denominatore di tutte le religioni. Fino a che uno non riesce a rendere libera la mente dalle impurità ed a svilupparla fino ad uno stato di purezza, potrà identificarsi con Brama o con Dio con molta fatica.

Sebbene metodi diversi sono utilizzati da persone di religioni differenti, l’obbiettivo dello sviluppo della mente è sempre lo stesso, e cioè il raggiungimento di uno stato di perfetta calma fisica e mentale. Lo studente al Centro viene aiutato a sviluppare la sua capacità di concentrazione su un punto preciso, incoraggiandolo a focalizzare la sua attenzione su di un punto sul labbro superiore alla base del naso, sincronizzando i flussi entranti ed uscenti del respiro con la silenziosa consapevolezza dell’inalazione e dell’esalazione…

Un grande vantaggio della tecnica di meditazione Anapana (cioè quella della consapevolezza del respiro) insegnata nel Centro è che la respirazione è non solo un fatto naturale ma è anche disponibile in ogni momento per poter ancorarci l’attenzione del meditante, escludendo ogni altro pensiero.

Tramite uno sforzo determinato di restringere la oscillazione dei pensieri in primo luogo nell’area intorno al naso per mezzo della respirazione consapevole e poi rendendo gradualmente la variazione della respirazione sempre più ridotta in un punto sul labbro superiore percependo soltanto il calore del soffio, non c’è motivo perché un buon studente di meditazione non possa essere in grado di garantirsi la focalizzazione della mente su un punto preciso in pochi giorni di allenamento.

da: The Real Values of True Buddhist Meditation; p.2,3,4.

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Egli riteneva che il motivo per la necessità di una buona concentrazione fosse che – con così poco tempo a disposizione – la mente dovesse avere un certo grado di capacità di penetrazione, per poter realmente sperimentare la realtà interiore ad un livello più alto di quello concettuale. si allontanò dalla visione tradizionale monastica secondo la quale la concentrazione si deve sviluppare a livelli molto alti, necessitando pertanto di lunghi periodi di tempo e grande isolamento.

D’altra parte neppure era d’accordo con l’approccio alla meditazione che iniziasse solo con una ridotta pratica specifica di concentrazione. Era interessato ad ottenere un livello sufficiente di concentrazione, per poter passare alla vera Visione Interiore.

La seconda qualità specifica del suo insegnamento fu il porre l’attenzione sulla caratteristica di Anicca (impermanenza). Il Buddha descrisse la realtà come avente tre segni distintivi o caratteristiche: l’impermanenza, l’incapacità di dare una soddisfazione durevole, la mancanza di un vero `Io’ o Sè.

Nella pratica di consapevolezza (osservazione di semplicemente ciò che è) il focalizzare l’attenzione su queste vere caratteristiche della realtà distrugge le false opinioni ed indebolisce l’attaccamento. U Ba Khin insegnò che l’accesso più diretto alla comprensione del processo dello svolgersi dell’esistenza avviene attraverso la comprensione dell’impermanenza, Anicca.

Si rese conto che Anicca è, tra le tre caratteristiche, la più evidente e prontamente comprensibile e che la comprensione di Anicca guida naturalmente alla comprensione delle restanti caratteristiche. Pertanto l’osservazione del cambiamento, ovvero la variazione di tutti i fenomeni quanto più ci si muove a livelli più sottili, fu il vero soggetto della sua tecnica Vipassana.

In se stesso, il metodo consisteva nella sistematica consapevolezza delle sensazioni fisiche nel corpo. Come chiarisce il Sutra Satipatthana del Buddha, il processo dello svolgersi dell’esistenza è identico in ogni aspetto del continuum mente-corpo. Scegliete pure quello che vi piace ed osservatelo sufficientemente da vicino e tutta la realtà si svelerà.

U Ba Khin scoprì che questo svelarsi risulta più drammatico e rapido nell’osservazione delle sensazioni fisiche all’interno del corpo. I suoi studenti furono istruiti a porre la loro concentrata attenzione su ciò e divennero sensibili al processo di cambiamento che poteva essere osservato attraverso le tangibili reazioni di calore, freddo, formicolio, dolore, torpore, pressione o di qualunque altra cosa fosse lì. Egli insegnava: semplicemente osservate la natura mutevole dei fenomeni.

Come egli ha pure segnalato, una continua pratica di questo metodo produce risultati non solo nel campo spirituale ma anche in quello della vita di ogni giorno. Affermava che un laico poteva godersi i frutti dell’esperienza Nibbanica anche durante la sua vita attuale. Ed incoraggiava le persone a non accontentarsi delle pratiche religiose o della semplice conoscenza della pratica meditativa attraverso i libri.

Nei paesi Buddisti, fino a circa 60 anni fa l’insegnamento della meditazione non era disponibile per i discepoli laici: gli insegnamenti erano trasmessi dai monaci solo ad altri monaci, entro i confini dei monasteri.

Un famoso e colto monaco Birmano, Ledi Sayadaw, abbandonò la tradizione dell’insegnamento trasmesso solo ad altri monaci e diresse un corso di 10 giorni per un piccolo numero di laici. Uno degli studenti era un ricco contadino, Saya Thet. Saya Thet aveva dato buoni risultati durante la pratica e Ledi Sayadaw lo autorizzò ad insegnare Vipassana ad altri laici. Non appena U Ba Khin venne a sapere della attività di Saya Thet come insegnante, partecipò ad un corso guidato da lui.

Più tardi U Ba Khin fu autorizzato ad insegnare ed iniziò le sue attività di insegnante guidando un corso per un gruppo di suoi collaboratori ministeriali.

U Ba Khin era ben consapevole degli svantaggi e difficoltà che un discepolo laico avrebbe dovuto sopportare per imparare e poi mantenere la pratica meditativa, ma insegnò in modo tale da tener conto di tali difficoltà. Gli erano anche molto evidenti i grandi vantaggi della vita monastica, ma si rese conto che molte persone, che desideravano un maggior sviluppo spirituale, non avrebbero potuto, a causa della loro vita o impegni, farsi monaci.

Il più importante vantaggio che i monaci hanno in loro favore è la loro stretta aderenza ad un codice morale ed al rispetto dovuto a 227 precetti, essendo pertanto liberi dalle diverse distrazioni che potrebbero altrimenti incontrare. Un altro importante elemento che valorizza la pratica dei monaci è la rinuncia a tutto, eccetto poche cose necessarie come il saio, una ciotola per il cibo e uno spazzolino da denti.

Rinunciano a vestire eleganti, capelli lunghi, barba e baffi, gioielli, carriere, lavoro, divertimenti, case, famiglie, proprietà ed altri tesori: così si liberano dagli attaccamenti, distrazioni e dai fardelli dei loro beni temporali.

I monaci hanno inoltre il vantaggio di vivere in un ambiente protetto, all’interno del monastero, dove, vivendo in comunità, hanno il dovere di aiutarsi ed incoraggiarsi l’un l’altro. La comunità dei laici ha poi l’obbligo di aiutare a proteggere i monaci dall’esposizione a influenze distraenti.

Nonostante le numerose difficoltà e distrazioni alle quali sono esposti i laici, grandi premi sono disponibili attraverso la pratica meditativa. U Ba Khin afferma: “Un corretto sviluppo della pratica meditativa colpisce alla base le malattie fisiche e mentali della persona e rimuove gradualmente tutto ciò che di dannoso è in lei, e cioè rimuove le cause di tali malattie fisiche e mentali.

Questa esperienza non è un privilegio riservato a chi ha rinunciato al mondo (il monaco): è anche per il laico. Nonostante le difficoltà che rendono sempre in tensione il laico in questi giorni, un insegnante o guida competente può aiutare uno studente in un tempo ragionevolmente breve. Ora il mondo sta confrontandosi con problemi seri che minacciano tutta l’umanità: è quindi arrivato il momento giusto per ciascuno di dedicarsi alla Meditazione Vipassana e di imparare come trovare un profondo lago di pace nel mezzo di tutto ciò che sta avvenendo oggi.

La pratica di Vipassana è, per il laico, la pietra preziosa della vita della quale far tesoro per creare una riserva di energia calma ed equilibrata per il suo benessere e per la prosperità della società.”

La vita monastica fornisce robuste componenti protettive che non sono comuni in un ambiente laico. La influenza corrompente dell’ambiente laico non deve escludere o ridurre la pratica meditativa dei laici, i quali, quando il Buddha era vivo ed insegnava, raggiunsero alti livelli di sviluppo spirituale.

E’ importante che quelli che desiderano – ma non sono in grado di – sperimentare la vita monastica, valutino realisticamente la loro situazione, senza sottostimare le loro potenzialità o sovrastimare le loro virtù.

NdT. Sono da intendere laici le persone che vivono nel mondo: hanno responsabilità, doveri verso di sé, gli altri e la società, si guadagnano da vivere con il loro lavoro, hanno una famiglia a cui accudire.