Cari amici nel Dhamma,
I ritiri, svolgendosi in un ambiente protetto e guidato, permettono di avere continuità nel rivolgere l’attenzione al proprio “interno” invece che “all’esterno”.
Non diamo per scontate le parole “interno”, “esterno” e “continuità”, perché, da un punto di vista esperienziale, così non è. Infatti, non è comune coglierne la vera portata.
“Esterno”, in realtà non è qualcosa al di fuori di noi, ma è ciò che i nostri sensi e la nostra mente ci rappresentano di esso. Questo “esterno” che vediamo e annusiamo e tocchiamo, …. e pensiamo, è dentro di noi ed è molto ridotto rispetto alla realtà reale che è molto più ricca in quanto a vibrazioni, energie, contenuti e scopi, di quanto percepiamo.
Inoltre, la nostra personale interpretazione di quanto i nostri sensi fisici e mentali ci permettono di conoscere, è influenzata da idee e concetti che si sono come innervati nel nostro sistema neurologico. Salvo rare eccezioni, le nostre opinioni intercettano l’esperienza del “qui e ora dei sensi” e lo deviano dall’esperienza immediata e diretta verso l’esperienza indiretta e mediata da quanto la memoria e la mente ci suggeriscono su di essi.
In altre parole, il nostro “contatto” con la realtà è generalmente ridotto o manipolato da noi stessi (“i condizionamenti”) o addirittura assente.
Viviamo come in un sogno per tutta la vita e non ce ne accorgiamo, con tutti gli errori comportamentali che da questo derivano e che generano sofferenza in e intorno a noi.
Anche la fisica moderna, da cent’anni a questa parte, sta evidenziando, in modo ormai accettato da tutti gli scienziati, che molti dei paradigmi interpretativi del reale sono da modificare.
Quanto sopra implica che il nostro comportamento per accedere a una reale felicità è da “studiare” e probabilmente da cambiare, perché, per poterla raggiungere e diffondere, è necessario conoscerne prima i meccanismi che la generano.
E che dire del mondo “interno”, questo sconosciuto ai più?
Il nostro “interno” è raggiungibile solo nella sospensione del nostro ragionare e interpretare, attraverso un contatto diretto con il processo stesso di fare esperienza interiore cioè il fenomeno di sentire coi sensi, di avere emozioni o tonalità affettive e di pensare.
Questo processo “meta-conoscitivo” di cosa è il fenomeno “sperimentare”, non va confuso con i contenuti dell’esperienza stessa, come per lo più accade per il basso livello di coscienza, così diffuso ai nostri giorni, che siamo chiamati a cambiare dentro di noi.
I processi di coscienza di cui sopra, e non i loro contenuti esperienziali, costituiscono, in se stessi, la nostra vera vita, la macina delle esperienze.
Noi normalmente aderiamo ai contenuti sperimentati e non al processo dello sperimentare, perdendoci in essi, dimenticandoci di noi stessi, persi nel piacere o nell’avversione. E’ un po’ come se fossimo automobili che viaggiano in vari territori e fossimo così persi nel godere o denigrare i paesaggi che incontriamo, da non sentire più il rombo dei nostri motori o lo scorrere dei nostri ingranaggi (identificazione).
E’ necessario “studiare” e capire da noi stessi tutto questo e le sue implicazioni, non solo a livello intellettuale ma soprattutto con l’evidenza esperienziale di prima mano.
Solo questa ci permette di comprendere come creiamo la nostra infelicità a livello personale e globale attraverso il desiderio e l’attaccamento non funzionale a oggetti e fenomeni che non potranno mai darci una felicità profonda perché la vera felicità deriva solo dal contatto intimo con noi stessi che si rinnova di attimo in attimo.
La “continuità” di osservazione permette a ciò che normalmente non è avvertito nella nostra velocissima e fugace esperienza, di divenire conscio e chiaro e la “chiara consapevolezza istantanea esperienziale” è un prerequisito per sentire il nostro interiore amore e interconnessione con gli altri.
E’ solo quando questo “amore per se e per gli altri” -sempre presente nel profondo di noi stessi- è sinceramente sentito attraverso l‘auto-connessione, che siamo in grado di fare la giusta azione, di essere cioè nel Dhamma e di provare dentro di noi la pace che sempre cerchiamo, per diffonderla poi all’esterno in modo naturale, “per osmosi”.
Attraverso la pratica ininterrotta (con determinazione e buonsenso) della consapevolezza, si scopre che il nostro “interno” esiste come fluire di pura gioia impermanente e vuota di contenuti, che si rigenera di attimo in attimo perché non esiste in se stessa, e si scopre anche che il nostro essere è co-generato in interconnessione con il tutto che a sua volta è contemporaneamente co-generato attraverso la sua connessione con noi in una grande rete di specchi, sempre di attimo in attimo. Un grande mistero che coinvolge il nostro senso del tempo e dello spazio e tutto ciò non è da capire ma da assaporare.
La “sofferenza” nasce dal non essere allineati al nostro potenziale di esistere realmente nella realtà.
La continuità della pratica, sotto la supervisione di un insegnante, è elemento fondamentale per cominciare a comprendere direttamente e esperienzialmente tutto questo.
Essa è un fattore critico di successo per trasformare la nostra configurazione neuro-chimica, che ci condiziona a reiterare vecchi modi inefficaci di vivere, così che in vece sua, si genera un nuovo livello di coscienza che si esprime nella gioia di esistere a prescindere dagli importanti stimoli che percepiamo come piacevoli o spiacevoli “esterni” a noi.