Vorrei richiamare l’attenzione su come sia importante per una duratura felicità, il non basare il proprio benessere su oggetti o situazioni effimere, sia perché recano in se la sofferenza implicita nel subliminale sapere intuitivo, che prima o poi esse ci lasceranno, sia perché dando loro la nostra attenzione, non la diamo a ciò che sottende tutta la nostra esistenza e che non è ne effimero ne passeggero, perdendo così il punto dirimente del significato della vita.
Con ciò non voglio dire che la nostra esperienza del mondo, per quanto effimera, sia da evitare e svalutare perché la nostra vita è fatta di quello, di gioia e di dolore, di affetti e di attaccamenti, ed è naturale amare la gioia ed evitare il dolore.
Ma una cosa è perseguire questo naturale obiettivo “mondano” in maniera cieca e completamente persi nelle cose del mondo (“identificazione errata”) e un’altra cosa è sperimentarle dal punto di vista più alto (identificazione corretta), nella loro relatività inconsistente.
E qual’è il punto di osservazione più alto o identificazione corretta? (con “identificazione” intendo dove situo il mio “io”).
Non è un sapere teorico quasi fosse un filtro nella relazione col mondo, ma una semplice evidenza del conoscere e sperimentare comune, condiviso da tutti e senza interruzione, che però abitualmente non viene colto.
Infatti, l’evidenza di questo sapere è apparentemente velata dai nostri costrutti mentali con cui osserviamo la realtà.
Questi costrutti sono condizionati dalla cultura e condizionano i nostri conseguenti comportamenti erronei che rinforzano a loro volta sempre più il solco della nostra visione condizionata.
In altre parole, se noi, quando diciamo “io”, intendiamo i nostri pensieri, le nostre sensazioni e le nostre percezioni attraverso i sensi, siamo allora identificati in una “mente-corpo” che in realtà non esiste in se stessa ma che rappresenta solo un insieme, in se inesistente, di fenomeni reali in velocissimo susseguirsi (pensieri, sentimenti, sensazioni e percezioni sensoriali).
Come oggetto in se, mente-corpo è un’allucinazione da cui il Buddha metteva in guardia.
Questa mente-corpo è da noi infatti oggettivata e proiettata come cosa reale in sé, ma in realtà è il costrutto di una attività di pensiero e di memorie e immagini su cui ragioniamo, discutiamo e che apparentemente usiamo e consumiamo.
Non che non esista la realtà perché i fenomeni esperienziali elementari e granulari, (i cosiddetti aggregati) che danno origine al pensiero/oggetto “mente-corpo” sono invece ben reali, della stessa stoffa della coscienza/consapevolezza in pratica sue fluttuazioni.
Noi non siamo un oggetto di consapevolezza, ma siamo la consapevolezza stessa che è consapevole di quanto emerge a livello di sensazioni, percezioni e pensieri.
In se la consapevolezza è vuota di contenuto ma tutto contiene come sue fluttuazioni, persino il pensiero che interpreta le nostre sensazioni e percezioni, fluenti in rapido flusso, come oggetto reale “mente-corpo”, dando ad esso consistenza,
Quando invece, dicendo “io”, viene spontaneo fare riferimento a questa consapevolezza in se stessa, riconoscendo le sue qualità di vacuità, e accoglienza/amore, allora, siamo nel punto di osservazione più alto quello che viene chiamato “illuminazione”
Come ottenere questo punto naturale e semplice di osservazione di noi stessi e del mondo, che non rinuncia al mondo, perché è una parte di se, ma che non è del mondo?
Questo processo di crescita di visione è, salvo rarissime eccezioni, piuttosto lento e richiede dedizione, sete di verità e accompagnamento.
Il mondo non aiuta in questo, anzi ci fa sempre deviare da quest’obiettivo, allettandoci in modo vario spesso irresistibilmente.
Vipassana è un catalizzatore e acceleratore dei processi evolutivi del potenziale della nostra consapevolezza.
Questo è lo scopo dei ritiri e della loro struttura.
Stare metodicamente con l’attenzione al respiro implica e permette una continua e attiva disidentificazione con i pensieri, sensazioni e percezioni aprendo così la strada, invece, alla identificazione con ciò che ci sta dietro e cioè “io”, “consapevolezza”, quella semplice cosa che conosce pensieri e sensazioni -l’interno-, e le percezioni sensoriali -l’esterno-.
Quando dai contenuti che emergono alla consapevolezza, l’attenzione viene sistematicamente riorientata verso un oggetto reale (la nuda sensazione o sentimento o percezione) che ha in se la qualità di flusso impermanente, e non di un costrutto immaginario fatto di eventi che si susseguono nel tempo, la presa di questi contenuti viene meno (dissipazione naturale) e l’attenzione diventa il fattore primario, diventa cioè l’attenzione all’attenzione.
La consapevolezza che può, in questo contesto, essere assimilata all’attenzione, emerge allora da sola nel silenzio e in primo piano rispetto ai contenuti che altrimenti la riempirebbero in maniera così esclusiva che non ci rimarrebbe che essere identificati coi contenuti stessi.
Non è che i pensieri smettano di esserci e di parlare anche rumorosamente, ma il fatto è che, non facendo essi più presa con l’identificazione e con l’attenzione inconsapevole, lasciano uno spazio in cui la consapevolezza rimane vuota di essi e si riposa in se stessa, nel suo proprio silenzio accogliente.
È’ quest’accoglienza che, maturando nella sua pienezza piano piano, diventa gradualmente amore.
Quando nel nostro cuore s’instaura l’apprezzamento del silenzio, dell’accoglienza, e dell’amore, s’instaura la quiete, la non ricerca, la soddisfazione auto sufficiente. Questa è l’unica cosa che può portare vera pace nel mondo.
La continuità della pratica, sotto la supervisione di un insegnante, è elemento fondamentale per cominciare a comprendere direttamente e esperienzialmente tutto questo e quindi impiantarlo in noi stessi.
La continuità è un fattore critico di successo per trasformare la nostra configurazione neuro-chimica che ci condiziona a reiterare vecchi modi inefficaci di vivere, così che in vece sua, si genera un nuovo livello di coscienza che si esprime nella gioia di esistere a prescindere dagli importanti stimoli che percepiamo come piacevoli o spiacevoli nei pensieri, sentimenti, sensazioni e percezioni sensoriali.