Cari Amici nel Dhamma,
vorrei ora sottolineare e richiamare il fatto che la Meditazione è una via alla semplicità dell’Essere.
Essa non è un duro lavoro per cambiarci o migliorarci in qualche aspetto della nostra vita magari nella relazione con gli altri o per essere più “spirituali”.
Queste trasformazioni avvengono di fatto, ma sono aspetti in fondo secondari e collaterali.
La meditazione è una via (una tecnica) o meglio, una apertura, adesso, in questo istante, alla felicità della quiete implicita al nostro semplice Essere o “essere coscienti” di base, la nostra natura più profonda e “nascosta”.
Essere semplici significa essere connessi in modo diretto con la vita che scorre, senza inserire il filtro della sofferenza del nostro resistere.
Di questa resistenza difficilmente siamo consapevoli mentre la agiamo, perché abitualmente non siamo attenti né al nostro corpo né alla nostra mente se non dopo, quando i risultati emergono come evidente stanchezza accumulata, stress fisico e mentale che chiedono di essere smaltiti in qualche modo.
Vorrei anche aggiungere che la coscienza o consapevolezza ai processi di corpo e mente richiede attenzione aperta e rilassata e energia direzionata. Tuttavia poiché generalmente confondiamo queste due attitudini ne consegue che inconsapevolmente, rinunciamo spesso ad essere consapevoli.
Ma di cosa è fatta questa resistenza? Se guardiamo alla nostra esperienza possiamo vedere che essa è una sola cosa con i contenuti del nostro incessante pensare che continua a ricostruire una griglia di giudizio fatta di conoscenze acquisite più o meno efficaci, attraverso cui interpretiamo il mondo.
Quasi incessantemente noi non viviamo il mondo in modo diretto, ma solo indirettamente, come se lo sperimentassimo attraverso uno specchio colorato e deformato da questa rete di pensieri automatici ripetitivi e auto perfezionanti.
Ma come è faticosa questa continua attività cerebrale compulsiva che recenti studi di neurofisiologia dicono essere veramente molto dispendiosa in termini energetici!
Certo, il pensiero e la trama delle nostre interpretazioni sono una competenza acquisita in anni di esperienza per svolgere al meglio ruoli e progetti della nostra vita allo scopo di dare una identità nelle nostre vite.
In sé stessi quindi sono un grande valore da preservare, ma quando sono inarrestabili e invasivi anche quando non servono, allora sorge il problema.
Se non riusciamo più a vivere nella pace e nella quiete del nostro semplice Essere (non essere qualcosa o qualcuno, ma Essere), vuol dire che la tensione implicita nel nostro pensare e interpretare ci ha preso la mano e ci sta letteralmente consumando.
La meditazione diventa alla fine, semplicemente, un fare spazio allo Spazio incommensurabile del nostro Essere e Conoscere.
In questo Spazio emerge in modo incontrollabile e ingovernabile quanto abbiamo accumulato di “bello” e di “brutto” nella esperienza vissuta da noi e dal mondo intorno a noi a cui indissolubilmente correlati.
In questo Spazio, noi facciamo esperienza non solo dei contenuti accumulati ma dello Spazio stesso del nostro Essere e quindi siamo a casa, a casa, nella quiete spaziosa e ampia che siamo noi e che tutti condividiamo a prescindere che ne siamo consapevoli o meno.
È lì che ci riposiamo, è lì che metabolizziamo l’esperienza, la digeriamo e ne espelliamo il superfluo, e ciò che rimane alla fine, è quello che deve rimanere: essere in pace, essere pienamente nel mondo con tutte le sue passioni, senza esserne usurati.
La meditazione Vipassana è semplice, diretta e potente per fare l’esperienza di quanto sopra.
Per questo programmiamo da anni, in modo autorizzato (cioè verificato) ritiri ed incontri di pratica, sulla base di una Tradizione che ci ha preservato l’insegnamento e che viene riproposto in modo vitale dall’insegnante che lo sperimenta.