Lo scopo di un ritiro Vipassana è di permettere l’accesso alla “felicità” e alla “libertà” che è diritto di natura di ogni essere umano in quanto la nostra fisiologia è adatta a sperimentare queste qualità della vita a prescindere dalle situazioni “esteriori” come le relazioni personali, il lavoro o altro in cui ci si trova di fatto.
È difficile da comprendere che ciò che ci impedisce di sperimentare questo stato naturale dell’essere è l’automatica e inconscia identificazione con gli oggetti della nostra esperienza.
Se indossassimo un paio di occhiali dalle lenti blu, vedremmo il mondo attraverso le sue lenti ed esso ci apparirebbe blu. Ma se per un attimo ce li togliessimo e li guardassimo direttamente invece di guardare attraverso di essi, vedremmo in modo trasparente e non colorato, sia gli occhiali che tutti gli altri oggetti del mondo.
Nello stesso modo se noi percepiamo il mondo attraverso il colore dei nostri pensieri, emozioni, sensazioni e percezioni, guardando attraverso di essi e confondendoci con essi -invece di vederli oggettivamente, cioè come oggetti dell’esperienza- siamo in quello che il Bhudda chiamava IGNORANZA o in linguaggio moderno “IDENTIFICAZIONE”.
Noi non siamo i nostri pensieri né le nostre emozioni, sensazioni o percezioni dei sensi, ma essi sono lo strumento attraverso cui percepiamo noi stessi e il mondo (altre fisiologie, sperimentano le nostre stesse cose in modo molto diverso, percepiscono altre frequenze).
Pensieri, emozioni, sensazioni e percezioni ci appaiono di solito come “io”, cioè come soggetti dell’esperienza e solitamente non ci accorgiamo che sono solo degli strumenti attraverso cui noi conosciamo il mondo ognuno a modo suo, usandoli come filtri al nostro conoscere che altrimenti sarebbe totalmente espanso e indefinito, come quello dei bimbi appena nati.
Questa è la condizione statisticamente normale per noi e per la grandissima maggioranza dei nostri simili, per cui diamo per scontato qualcosa che scontato non è (almeno per il Buddha).
La Vipassana sgretola questa identificazione egotistica e lo fa a modo suo con una tecnologia mentale specifica e collaudata da 2500 anni.
La pratica consiste nell’affinare la nostra capacita percettiva e sperimentare in prima persona e in modo penetrante la realtà degli oggetti del nostro conoscere, sia quelli interni che quelli del mondo “esterno”, pervenendo all’evidenza che essi non hanno di per sé una realtà “a sé stante” ma sono apparizioni alla e nella nostra coscienza.
Ciò che percepiamo esiste realmente ma non come noi ci raffiguriamo, cioè come qualcosa di solido, permanente, personale e fuori di noi.
Quando non abbiamo questa chiarezza esperienziale, aderiamo completamente all’oggetto del nostro percepire sperimentando al nostro interno piacevolezza e spiacevolezza così che diventa difficilissimo non rimanervi incollati emozionalmente e cognitivamente, alimentando la confusione di partenza.
Quando invece, riconosciamo attraverso la nostra esperienza che gli stessi pensieri, emozioni e percezioni con cui conosciamo noi stessi e il mondo, sono a loro volta oggetti del nostro conoscere, emergiamo come soggetti e cominciamo a “SEMPLICEMENTE ESSERE”, essere indipendentemente dagli oggetti che conosciamo, qualunque sia la loro natura psichica o fisica.
Ignoranza, attaccamento ed avversione si compenetrano a vicenda e sono tradizionalmente chiamati “i tre veleni” in quanto causano la nostra condizione di sofferenza generalizzata, a cui tentiamo di sfuggire inutilmente attraverso compensazioni ed artifici di ogni genere a volte molto creativi.
Noi esistiamo a prescindere (dagli oggetti del nostro conoscere).
Quando lo comprendiamo veramente, siamo in contatto con una gioia, sicurezza, libertà e soddisfazione che sono al di là di ogni nostra immaginazione e che dipendono solo dal nostro ESSERE e non dagli oggetti di cui siamo consapevoli e questo è un fatto esperienziale che diventa veramente cognitivo solo in un secondo momento.
È a questa esperienza che va attribuito il benessere che si prova alla fine di un ritiro di Vipassana.
Il nostro percepire è strettamente connesso e radicato nella nostra neurofisiologia per cui non basta capire teoricamente, ma bisogna proprio intervenire pazientemente sulla configurazione delle nostre sinapsi e neuroni del cervello per cui è necessario un lento continuo esercizio riabilitativo perché si tratta di intervenire su una autostrada di comportamento, cristallizzata attraverso anni di interpretazioni errate della nostra esperienza e per modificarla bisogna “guardare” dove finora non si è guardato e cioè alla oggettività degli oggetti pensiero, emozioni, sensazioni e percezioni, senza identificarsi.
La Vipassana è uno strumento formidabile e di sicura efficacia. L’unica cosa che necessita è di essere praticata perché, come detto, non basta un’intuizione o un’esperienza occasionale di tipo cognitivo per darci la libertà e la gioia a cui abbiamo diritto per nostra natura psicobiologica.
È per questo che i ritiri tradizionali durano 10 giorni e in essi si pratica con continuità, perché c’è bisogno di tempo per la dissipazione delle vecchie strutture con cui ci siamo neurofisiologicamente configurati e che ci portano a far collassare la nostra identità negli oggetti “esterni” del piacere e del dispiacere invece che a goderceli senza confonderci con essi, essendo felici a prescindere da essi.
Quando siamo felici a prescindere, siamo allora in equilibrio perfetto e la vita, da questa posizione equilibrata, diventa molto più facilmente gestibile e diventa anche la celebrazione di qualcosa che ci appartiene per definizione: il nostro amore, la bellezza e la conoscenza del tutto.
Allora il tutto diventa UNO nella nostra coscienza, e non siamo più irretiti dal guardare “fuori” agli oggetti confondendoci con essi, immergendo e perdendo il soggetto nell’oggetto, ma diventiamo il puro conoscere dove soggetto e oggetto prima distinti, ora si fondono nel solo atto del conoscere.
Vi invito tutti a coltivare l’esperienza, perché solo attraverso di essa si può capire veramente come sarebbe “l’essere felici a prescindere”.
Un caro saluti a tutti.
Edoardo Parisi
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