Newsletter 2018 maggio

Cari studenti (studenti di “Voi stessi”),

vi ricordo che è nostro compito essere liberi, felici e … “interi”, fin da adesso, in questa vita.
Per essere “liberi” è essenziale allenare la nostra capacità neuro fisiologica di fare riferimento non solo agli accadimenti della vita quotidiana ma anche al nostro Sé profondo.
Per ottenere questa abilità, per essere in contatto anche col nostro Sé di cui siamo fatti, è necessario, come dicono tutti i maestri di Vipassana, esercitarsi ogni giorno, e anche è essenziale frequentare almeno un ritiro all’anno di nove o dieci giorni.
Solo in un ritiro di questa durata si ha infatti neurologicamente il tempo tecnico di andare sempre più profondamente all’interno dell’esperienza e di spogliare la percezione della nostra coscienza da tutti i suoi contenuti, per rimanere in semplice consapevolezza della coscienza stessa, di noi stessi, della stoffa di cui siamo fatti.
Quando questo avviene, le sovrastrutture al nostro semplice essere e le congestioni energetiche (il nostro “ego”) generate e trattenute inconsciamente da desiderio e avversione, si sciolgono e si dissipano, lasciandoci liberi.

C’è una differenza nel nostro linguaggio fra “coscienza” e “consapevolezza”:
con ”coscienza” intendiamo “la stoffa primordiale di tutta la realtà”: tutto avviene nella coscienza, tutto è fatto di coscienza;
con “consapevolezza” si intende la coscienza dei contenuti o forme “della e nella” coscienza stessa.

Poche persone sono consapevoli della vuota coscienza in sé stessa; la maggioranza è invece consapevole solo delle forme che appaiono “nella e alla” coscienza.
A queste forme ci si attacca con l’attenzione fin da piccoli, come è d’altronde naturale, univocamente, inconsapevolmente, in modo reattivo e drammatico.
Il danno, se così si può dire, deriva dal fatto che questo processo diventa una abitudine esclusiva che esclude cioè l’attenzione dalla coscienza in sé stessa.

A questo si riferiscono i testi buddisti e di ogni altra saggezza, quando parlano di “attaccamento, “bramosia” ed “ignoranza”, i “tre veleni” di cui parla il Buddha.

Siamo ignoranti del fatto che ciò a cui siamo attaccati con l’attenzione, con il desiderio, con l’aspettativa che gli eventi cessino o continuino secondo i nostri criteri, non sono il “tutto” di ciò che ci appare reale, ma sono solo forme “della e nella” pura Coscienza.

Quando si frequenta un ritiro di nove o dieci giorni si ha la rara occasione e privilegio di avere il tempo necessario per arrivare piano piano a spogliare “la consapevolezza della pura coscienza in sé stessa” dai suoi contenuti e dall’intromissione degli attaccamenti e abbiamo l’occasione in qualche maniera, chiara o meno chiara, di percepire la nostra vera essenza.

Tutto ciò in un ritiro avviene in modo semplice e naturale, senza che la mente debba per forza di cose elaborare, comprendere o ricordare.

Lo stato dell’Essere è prima della mente perché la mente deriva dall’Essere o Coscienza, ma il fatto che la coscienza sia prima della mente non vuole dire che noi non ne siamo coscienti cioè che non siamo coscienti dell’Essere o Coscienza stessa. Lo siamo comunque, ma non ce ne accorgiamo.
Anche se la mente, in quanto prodotta” dopo e dentro” la coscienza, non può descrivere la coscienza stessa, tuttavia “la pura coscienza cosciente di se stessa” è una esperienza evidente e tangibile che se coltivata, porta luce e serenità anche nella vita quotidiana.
Essa va esercitata volontariamente e responsabilmente, in modo da essere “interi” e non frammentati dall’esperienza degli oggetti che appaiono.

Un caro saluto a tutti e un sincero ringraziamento per condividere il percorso di vita.

Cari Saluti nel Dhamma