di Edoardo Parisi (Maroggia, giugno 2012)
Durante una seduta di Anapana
Quando si introduce Anapana in un ritiro, una delle istruzioni che vengono date è quella di non dare importanza ai pensieri, alle immagini e alle emozioni che inevitabilmente sorgono mentre si è attenti al respiro alla base del naso.
Questa istruzione non implica un giudizio sull’intellettualità o concettualità, ma e rivolta a indicare che in questo specifica attività di attenzione, il pensare non è necessario, anzi è proprio da non coltivare.
Ma come farlo in modo da non demonizzare il pensare stesso?
E’ necessaria qualche considerazione in merito, introducendo chiarimenti su cosa significa essere “postconcettuali” che è quanto vorremmo applicare nella pratica stessa.
“Postconcettuale” significa non essere identificati con la concettualità e contemporaneamente non essere dissociarti da essa e non rifiutarla.
Quando pratichiamo Anapana, siamo in contatto con la realtà del tocco alla base del naso e anche, nostro malgrado, con pensieri, emozioni, sensazioni fisiche.
Queste formazioni mentali e fisiche premono su di noi mentre stiamo dirigendo l’attenzione alla base del naso e solitamente noi siamo perlopiù un tutt’uno con loro, siamo cioè identificati.
Noi continuiamo a tornare al punto di contatto senza dare energia volontaria e continuità di attenzione ai pensieri, alle emozioni e alle sensazioni fisiche che sorgono, ma cominciamo a vedere pensieri, emozioni e sensazioni fisiche come contenuti della nostra osservazione, sperimentando noi stessi come osservatori.
In poche parole siamo in un processo di disidentificazione.
Durante Anapana siamo semplicemente presenti alla sensazione del tocco senza rifiutare la concettualità che sorge spontanea, ma la trascendiamo, scegliendo di lasciarla sullo sfondo dell’attenzione in secondo piano (sono solo fenomeni sul cui manifestarsi non abbiamo alcun controllo) e non lasciamo che la mente divaghi volontariamente nel chiacchiericcio e nella intellettualità.
L’unica intellettualità che usiamo è per monitorare che la pratica sia fatta secondo comprensione e saggezza.
Si tratta quindi semplicemente di distinguere e scegliere l’oggetto della contemplazione senza generare conflitti al nostro interno.
“Postconcettualità” è la capacità di usare la concettualità senza esserne padroneggiati. E’ trascendere la concettualità e andare oltre, in uno stato di presenza più ampio.
Non si tratta quindi di regredire in uno stadio evolutivo, individuale o collettivo, precedente ed infantile, in cui le capacità di astrazione operativa o quella ancora più avanzata di tipo formale, non erano ancora emerse nella psiche dell’umanità o del bambino.
La concettualità è un grandissimo valore, prodotto faticoso e prezioso di migliaia di anni di tentativi evolutivi del genere umano e di applicazione educativa nel processo di crescita individuale del bambino.
Essere capaci di concettualità è caratteristica indispensabile per la sopravvivenza dell’umanità e per la crescita del suo benessere ed è il fondamento della scienza e dello sviluppo della coscienza, almeno da un certo punto in avanti, ma il pensare oggi ci ha preso la mano e ne siamo così schiavi che spesso non siamo più neanche in grado di provare meraviglia, di ascolto profondo o di godere per un piccolo tempo continuativo, di un tramonto senza attivare compulsivamente il processo elaborativo, astrattivo e distrattivo, impedendo così il contatto diretto primario con la Realtà.
La crescita è sempre un’inclusione dello stadio evolutivo precedente (concettuale) e un andare al di là di esso trascendendolo (postconcettuale).
Questa “postconcettualità” la possiamo chiamare “Presenza”, Consapevolezza, Essere testimoni… ed è caratterizzata da “non giudizio” e da una sua intrinseca “spaziosità” in cui tutti i fenomeni possono essere, sorgere e fluire.
Non c’è lotta coi suoi contenuti, perché è un livello della mente diverso da quello dei pensieri.
C’è invece un generale stato di accettazione mentre sorge l’attenzione ai vari processi mentali e fisici che avvengono.
Non è rassegnazione o valutazione bonariamente positiva, ma è un semplice “non giudizio”, accoglimento indifferenziato.
La decisione di dare forza a certi contenuti e non ad altri (per es. al respiro e non al pensiero) è una questione di saggezza e non di sola consapevolezza (Sati). C’è bisogno di capacità discriminativa (Sampajanna) per poter distinguere e scegliere. Nei testi si parla spesso di Sati-Sampajanna.
La consapevolezza è una porta per la saggezza che emerge in modo misterioso da uno stato di quiete e pesca nell’infinito oltre noi.
La saggezza non è qualcosa che si può tesaurizzare, ma è un campo misterioso cui si accede con la consapevolezza.
Che tutti gli esseri abbiano la capacità di distinguere e scegliere dove mettere l’attenzione in modo fermo
Che tutti gli esseri siano completamente liberati dai loro condizionamenti.