Cos’è Vipassana

La meditazione Vipassana è la tecnica di consapevolezza che il Buddha praticò personalmente per la sua illuminazione e liberazione dal “Campo della Sofferenza”.

La insegnava solo ai suoi discepoli più stretti come Sariputta, Mahamagallana, Mahakassapa, Mogallana, Ananda, …, perché è diretta e senza compromessi.

Vipassana non fa concessioni alla visione illusoria di una mente, di un corpo e di un mondo sentiti e percepiti come oggetti fuori di sé, separati dal nostro stesso essere e conoscere.

Lo scopo essenziale di Vipassana è quello di farci sentire felici e sodisfatti nel nostro proprio Essere cosa non possibile attraverso ottenimenti mondani come sensazioni, emozioni, oggetti e relazioni.

Vipassana permette la Visione Profonda che nessuna esperienza oggettiva è lontana da noi che siamo UNO e integrati con tutta la differenziazione percepita dai sensi.

Vipassana richiede di avere una attenzione tranquilla e fluida – e per ciò stesso concentrata e indistraibile (Samadhi).
Questo tipo di attenzione viene quindi rivolta, in Vipassana, attimo dopo attimo alle sensazioni piacevoli, spiacevoli o neutre che emergono di continuo alla consapevolezza da ogni più minuscola parte di ciò che indichiamo come nostro “mente/corpo”.

Sperimentando nel nostro laboratorio interiore questo “prendere la mira” con l’aiuto di un insegnante competente, si può riconoscere in modo semplice e naturale, che il corpo e la mente da noi sperimentati come solidi e continui, in realtà sono solo l’apparire alla coscienza di un insieme velocissimo di impressioni sensoriali e mentali che per la loro velocità di sorgere e istantaneamente dissolversi, danno un senso di continuità di quel qualche cosa che chiamiamo “io” o “mio” con cui di norma siamo identificati.

Cosa vuol dire? Che usualmente siamo immedesimati inestricabilmente nei contenuti fisici e mentali della nostra consapevolezza, e non sentiamo direttamente che noi siamo la consapevolezza stessa, immobile e infinita che conosce i suoi contenuti, fluttuazioni di sé stessa.

La Visione Profonda, in un primo passo, permette di distinguere esperienzialmente il contenuto del nostro conoscere, dalla Coscienza stessa (sinonimi: Consapevolezza, Presenza, “campo del conoscere”, …).
Si riconosce che la Coscienza non è la mente che concettualizza, che immagina, che vaga nei ricordi o nei progetti sul futuro, ma che è l’elemento cognitivo primario della esperienza qualunque questa sia.

Il secondo passo consiste nell’indagare le qualità intrinseche alla pura coscienza (liberata dalle identificazioni di cui sopra), scoprendone l’infinitezza, la eterna presenza, la sua innata apertura o accoglienza, la sua imperturbabilità pur essendo assolutamente intima con gli oggetti che conosce ma senza assumerne i limiti.

La coscienza con cui conosciamo, non può essere conosciuta come si conosce normalmente “un oggetto” (pensiero, emozione o percezione) ma è conosciuta da sé medesima, essendo il conoscere stesso. Una metafora potrebbe essere quella del sole che illumina il mondo e illumina sé stesso essendo la luce stessa.

Ma questo, tuttavia, è ancora una forma di dualismo benché “illuminato”.
Il terzo e ultimo passo consiste nel riconoscere consapevolmente che ogni esperienza è conosciuta. Hai mai fatto una esperienza senza conoscerla? Ogni esperienza è fatta di conoscere ed è una fluttuazione che avviene nel conoscere stesso.
Alla fine, si vede in modo diretto che tutto è coscienza/conoscere, cioè, che c’è nulla al di fuori di te, il puro conoscere che conosce sé stesso.

Questa profonda connessione è pura felicità (non mondana).
Essa lascia anche un suo retrogusto raffinato e molto piacevole nel corpo e nella mente: è il gusto della verità, il gusto del sentire che quando siamo acutamente Presenti, siamo nel Ben-essere, a prescindere dai contenuti che la consapevolezza sperimenta e siamo liberi anche come esseri incarnati.

Tutto ciò va sperimentato. È qualcosa che non appartiene alla concettualizzazione.

  • Va sperimentata la pratica della Moralità (Sila) che evita le distrazioni e che è propedeutica ad Anapana.
  • Va sperimentata la pratica di Anapana che porta al Samadhi, mente acuta e tranquilla essenziale a praticare Vipassana.
  • Va sperimentata la pratica di Vipassana per aprirsi alla Visione Profonda di Anicca (il rapido fluire o impermanenza delle sensazioni e percezioni), di Dhukka (la sofferenza intrinseca all’ignoranza) e di Anatta (la vuotezza di una realtà stabile preesistente all’esperienza).

Il segreto del successo è la continuità e il persistere, ed è per questo che sono organizzati i ritiri residenziali, come lo erano fin dai tempi del Buddha, 2500 anni fa.

Solo persistendo si incontrano le difficoltà che rivelano la struttura profonda della nostra avversione, del nostro attaccamento e della nostra ignoranza che pilotano normalmente, in modo massiccio il nostro comportamento fisico e mentale quotidiano, senza che ce ne si accorga.
Solo il tempo paziente e continuo della Pratica ha il potere di purificazione necessario a dissiparle.

La pratica quotidiana è essenziale per mantenere ed integrare, i ritiri sono essenziali per “salire” di livello nella visione Profonda e nell’uscita dalla Sofferenza.